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Il caso clinico che presentiamo è il primo paziente trattato presso la nostra UOC con Aflibercept 8 mg, che ha riportato un risultato eccellente.
Il paziente si è recato la prima volta presso la nostra struttura nel 2015 per eseguire una fluorangiografia, in quanto è stata riscontrata una distrofia dell’EPR paramaculare durante un precedente esame del fondo oculare. Nella FAG si è evidenziata una distrofia maculare drusenoide in occhio destro senza segni di essudazione in atto (immagini: autofluorescenza 01.15, FAG 01.15, OCT 01.15).
Il paziente, un uomo di 80 anni, torna presso la nostra UOC nel dicembre 2024 a seguito di un repentino calo del visus in occhio destro. In anamnesi patologica remota si segnala ipertensione arteriosa in trattamento con Olmesartan e ipertrofia prostatica benigna in trattamento con Alfuzosina. In anamnesi oftalmologica, riferisce trattamento per ipertono oculare con associazione fissa Bimatoprost/Timololo una volta al giorno. Segnala inoltre un importante calo visivo in occhio destro, insorto da alcuni giorni.
All’esame obiettivo dell’occhio destro si rileva:
- Acuità visiva corretta: 2/10 (lettere di Snellen)
- Tono oculare (T.O.): 12 mmHg in terapia
- Segmento anteriore: cataratta nucleare e sottocapsulare posteriore di modesta entità
- Fondo oculare: disco ottico roseo a margini netti, distacco sieroso dell’EPR in sede maculare con essudazione diffusa.
L’OCT evidenzia un quadro di membrana neovascolare di tipo 2, con presenza di fluido intraretinico e sottoretinico, marcato scompaginamento di tutti gli strati retinici interni ed esterni e perdita del fisiologico clivus foveale e uno spessore retinico centrale (CRT) > 550 µm (immagini: OCT line 12.24 e OCT map 12.24).
Il paziente, naive a trattamenti intravitreali, viene sottoposto a una prima iniezione intravitreale di Aflibercept 8 mg il 17/01/25.
Successivamente il paziente viene a controllo il 13/02/25. All’EO abbiamo in occhio destro un’acuità visiva con correzione di 4/10 (lettere di Snellen), T.O. 12 mmHg (in terapia) e all’OCT un netto riassorbimento del fluido intra e sottoretinico, con ricomparsa del clivus foveale e un recupero strutturale degli strati retinici interni ed esterni, CRT massima di circa 250 µm (immagini: OCT line 02.25 e OCT map 02.25).
Si procede quindi a un secondo trattamento con Aflibercept 8 mg il 14/02/25 e successivo controllo l’11/03/25. Al follow-up il paziente all’EO in occhio destro mostra un ulteriore miglioramento dell’acuità visiva corretta raggiungendo 5/10 (lettere di Snellen), T.O. 16 mmHg (in terapia) e all’OCT una progressiva e ulteriore riduzione del CRT: 242 µm (immagini: OCT map 11.03).
Il trattamento prosegue con una terza iniezione di Aflibercept 8 mg il 14/03/25. Al controllo del 01/04/25, l’acuità visiva (con correzione) e il tono oculare (in terapia) risultano invariati, all’OCT si ha una sostanziale stabilità con CRT: 243 µm (immagini: OCT map 01.04 confronto 11.03). In questa fase si pianifica un controllo a un mese per valutare la possibilità di estensione dell’intervallo terapeutico secondo protocollo Treat & Extend, facendo riferimento ai criteri dello studio PULSAR.
Il successivo controllo, eseguito il 06/05/25, mostra un’acuità visiva corretta in occhio destro che si mantiene stabile, e un tono oculare (in terapia) sempre nei limiti. All’esame OCT il quadro resta invariato, CRT: 246 µm (immagini: OCT map 06.05 confronto con 01.04). Alla luce di questi dati, si decide di programmare il prossimo trattamento intravitreale con Aflibercept 8 mg a 12 settimane dall’ultima iniezione, nel mese di giugno 2025 (Q12).
In conclusione, il trattamento con Aflibercept 8 mg in un paziente naive con una forma di nAMD molto aggressiva ha dimostrato un’efficacia rapida e marcata fin dalla prima somministrazione, con recupero sia anatomico che funzionale. Il farmaco si è inoltre rivelato sicuro, senza comparsa di effetti collaterali vascolari, flogistici o ipertono oculare (sia in questo caso clinico sia negli altri pazienti trattati con questo farmaco presso la nostra UOC). Inoltre, la possibilità di prolungare l’intervallo terapeutico riduce significativamente il burden per il paziente e per la struttura, favorendo una gestione più sostenibile della patologia.